
C’è una tendenza che ultimamente si sta radicando nelle nostre abitudini al ristorante e che, devo confessare, mi piace molto, oltre ad incuriosirmi; il mangiare al bancone.
Ormai, quando prenotiamo un locale, su alcune piattaforme, ci viene proposto di scegliere l’ambiente in cui vivere l’esperienza: sala interna, esterna, cortile, giardino e… bancone. Spesso quest’ultima proposta viene vista come ultima chance di poter recarsi in un locale quando quest’ultimo è talmente preso d’assalto che ci sono poche speranze di riuscire a trovare un tavolo ad un orario “decente”. Quando la voglia di scoprire un locale è forte, c’è gente anche disposta a cenare alle 14:30 o alle 22. Ovviamente faccio parte di quella fetta di popolazione. E poi c’è la possibilità di essere piazzati al bancone, con la vista diretta sulle cucine, di fianco alla persona che ci accompagna e non più, come ad un tavolo tradizionale, di fronte ad essa. Prima sicuramente era un’opzione da non considerare o addirittura non veniva nemmeno proposta.
Poi abbiamo provato l’esperienza. Ci siamo seduti lì, su quei banconi più o meno stretti, abbiamo preso un po’ di altezza su quegli sgabelli alti, davanti allo spettacolo del ballo dei cuochi, dei loro movimenti più o meno rapidi, precisi, come un valzer da cui non staccare lo sguardo. E ci siamo lasciati trasportare, e abbiamo a poco a poco dimenticato i nostri piani iniziali. Forse è ancora più bello? L’esperienza ancora più totale? Forse potremmo catturare qualcosa dell’anima del locale? Accedere ad alcuni suoi segreti? Sono i pensieri che mi hanno lasciato queste esperienze che ho pure ricercato qualche volta. Volevo proprio pranzare o cenare al bancone per scelta, non perché erano esauriti i posti in sala.
Ricordo di una volta a Venezia, durante uno dei miei soliti soggiorni invernali solitari, in cui mi sono rifugiata in quel bar, Adriatico Mar, che amo particolarmente e in cui torno ogni volta. Era fine giornata a gennaio, la notte era già arrivata, c’era un vento freddo che mi invitavano proprio a stare dentro, al caldo, intorno alla gente, in questo localino così accogliente. Non erano più rimasti posti liberi ma il personale mi ha amichevolmente proposto di mangiare direttamente al bancone, in piedi, accanto a loro. Avevo ordinato uno squisito tagliere di formaggi che avevo accompagnato da un indimenticabile Malvasia frizzante di Venezia Giulia. Ricordo ancora la felicità che provò in quel momento; mi stavo godendo un cibo ed un vino stupendi su questo bancone di marmo bianco, chiacchieravo un po’ con il personale, osservavo la gente, sentivo il caldo diffondersi nel mio corpo, ritrovavo forze e allegria. E’ stato un momento unico. Da circostanze che avrebbero fatto cambiare locale a molti clienti, io ero lì felice a pensare che tutto dipende da noi, da come vogliamo vivere le cose. “Il y a des fleurs partout pour qui veut bien les voir.” Questa citazione di Henri Matisse è decisamente verissima. E quando loro, gentilissimi, mi hanno detto che si era liberato un posto e che potevo spostarmi lì, quasi mi veniva da rimpiangere il mio angolo felice di bancone…

Sarà un po’ di deformazione professionale? Per eccesso di passione e bisogno di analizzare e capire meglio le dinamiche del posto? Sicuramente. Ma oltre a questi motivi, credo che questa modalità sia anche un ottimo modo per vivere un momento più informale e, di fatto, ancora più conviviale. Questa impostazione crea più intimità sia con la persona con cui condividiamo il momento che con il personale. Spinti dalla nostra curiosità accesa, guardiamo cosa c’è dietro ad un pasto, i gesti, l’organizzazione. Diamo volti a persone che di solito non vediamo mai. Ovviamente lo sguardo non è sempre fisso su di loro, ma spesso ci torna. E’ divertente ed è bello osservarli. Sempre in maniera discreta così da non creare pesantezza, ma con tanto interesse ed affascinazione.
Far vedere dietro le quinte è una scelta osata da parte del ristorante; si tratta di scommettere su un approccio puramente trasparente, in cui non viene nascosto nulla. Vuol dire avere una fiducia totale nella brigade in cucina che deve lavorare in maniera pulita, senza litigi o segni apparenti di pressione. Non ho mai visto questi artigiani del gusto alzare il tono della voce, tutto si fa quasi sempre in un silenzio religioso, con la massima concentrazione che forzano all’ammirazione.
Per gli appassionati di cibo, i curiosi delle tecniche culinarie o semplicemente per chi ama dare una dimensione ancora più umana e sensibile all’andare al ristorante, è un’esperienza bellissima. Qualche volta, la conversazione viene interrotta da un commento rispetto ad un’operazione che si sta svolgendo in cucina, una salsa, una cottura, l’assemblaggio di un dolce. So che non è visto come particolarmente educato guardare le portate sugli altri tavoli ma spesso, discretamente, ci do un’occhiata per farmi un’idea dei piatti. Spesso mi stupisco della loro apparenza perché dal menù non si poteva sapere ben precisamente a cosa avrebbe assomigliato. La cucina dà questa possibilità di osservazione in maniera non più dissimulata. E’ bello vedere nascere un piatto, le varie tappe e il loro ordine, i gesti, gli ultimi ritocchi. E’ un processo fatto con cura, attenzione ai dettagli, dettato dal gioco di equilibrio tra sapori, consistenze e porzioni.

Di solito, quando uno si gode un’esperienza al bancone, si tratta del bar. Stare al bancone è un’abitudine molto diffusa in Italia, che non si ritrova ad esempio in Francia. Infatti, quando dichiaro, passeggiando, ai miei amici che mi visitano “Io mi fermerei per un caffè al volo”, non capiscono che intendo proprio al volo, non fermarmi attorno ad un tavolo a bere un caffè per mezz’ora. Adoro questo rituale che è per me un gesto semplice del quotidiano, spesso necessario per avere la mia dose di caffeina, una piccola parentesi di gioia sia nel degustare questa meravigliosa miscela nera che nell’osservare i baristi che lavorano, il soffio della Cimbali, il rumore dei bicchieri e delle tazze, della radio in sottofondo, le conversazioni di chi si ferma qualche minuto in più, quello che deve scappare, le chiamate telefoniche, le esclamazioni, i “Buongiorno” animati, lo scambio di sguardi, di sorrisi. Non esiste per me miglior modo di iniziare la giornata. Vale naturalmente a ora di aperitivo, specialmente per osservare come viene preparato il mio Campari, qualche volta se mi viene la fantasia, di un cocktail più ricercato che il barista si impegna a realizzare con maestria.
Credo che l’esperienza al ristorante mi stia piacendo sempre di più e che la rinnoverò senz’alcun dubbio ancora tante volte… La cucina è viva. Anzi, è vita, ed assaporarla da un bancone la rende per me ancora più deliziosa e magica.
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