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Il fascino senza tempo dei chioschi

Ricordo anni fa di una polemica emersa a Parigi quando il sindaco, Anne Hidalgo, aveva resa pubblica la decisione del comune di rinnovare i chioschi storici della capitale. Tutti si erano infuriati perché tale iniziativa avrebbe cambiato il volto di questo posticino che fa parte del paesaggio quotidiano parigino essendo sostituito da una facciata più moderna, abbastanza priva di segni caratteristici. Infatti, l’idea era di operare alla modernizzazione di quelle piccole strutture per offrire innanzitutto maggiore comfort ai gestori.

Finalmente tornavano sul palcoscenico i chioschi di cui quasi ci eravamo dimenticati. Mi sembrava paradossale perché li vedevo poco frequentati e al contempo sentivo l’ira un numero sproporzionato di persone rispetto alla poca considerazione che di solito davamo loro. Forse, in realtà, senza troppo farci caso siamo molto affezionati a quei posti che un po’ ci ricordano una Parigi ormai svanita con il passare del tempo, un po’ perché, si sa bene, ci piace fare polemiche per qualsiasi argomento che potrebbe rivelarsi un rischio per la storia e l’eredità del popolo francese. E’ un po’ come tenere un vaso vecchio decenni, polverato, che uno ha sempre visto in casa, che quasi si è scordato della sua presenza, ma che per niente al mondo potrebbe né vorrebbe buttare via.

In Italia, presto mi sono resa conto dell’importanza ancora attualissima dei chioschi, almeno negli ultimi 4-5 anni. Sicuramente anche loro avranno vissuto un periodo di trascuratezza per poi tornare alla nostra attenzione. Al contrario di oltralpe, i chioschi qua svolgono più attività; non si limitano all’edicola, dando loro maggiore importanza. Credo anche che gli Italiani siano più legati al proprio quartiere, hanno più occasioni di stare fuori, di riunirsi. Per vari motivi, tra cui, i più evidenti, la sociabilità più intensa o le condizioni meteorologiche spesso più favorevoli. Ricordo che al secondo anno di studio dell’italiano a scuola, c’era un capitolo dedicato proprio alla piazza. La piazza vista come luogo di ritrovo tra le generazioni, spazio comune condiviso per rilassarsi, stare insieme, giocare, chiacchierare… Ed è proprio in questo ambito che si inserisce il chiosco, come testimone e passaparola di persone e di storie che si incontrano e che fanno vivere un quartiere.

A Milano, ho scoperto la gioia degli aperitivi al chiosco. Sedie spesso di plastica, atmosfera informale, panini fatti su richiesta, bicchieri rossi di Campari che brillano; spesso questi sono i denominatori comuni dell’esperienza che si può godere lì. Mi piace per la sua semplicità, l’assenza totale di superficialità, di codi da adottare o maschere da indossare. Per una città come quella meneghina, sono rare isole di pace, lontane dai flussi dei turisti o dai locali lussuosi (che sono anche carini da sperimentare, intendiamoci!). Quasi sempre ho trovato un personale gentilissimo, che ti dà del “bella”, “gioia”, per riferirsi a te, che con una buona dose di umorismo ti fa dimenticare la tua faticosa giornata di lavoro. Ma anche e soprattutto tanta professionalità. Ricordiamoci che lavorare in un chiosco significa patire della stagionalità nella frequentazione, di orari spesso molto estesi, di spazi esigui, di richieste di permessi che non in automatico vengono accordati. Insomma, lavorare in un chiosco non è per niente una passeggiata come saremmo tentati di pensarlo.

Da clienti, frequentare i chioschi è come sentirsi a casa, non esiste un dress code, puoi starci 15′ come un’intera serata, incontrare bambini dopo scuola, vecchietti fedeli da sempre, lavoratori in afterwork, sia blue che white collars, amici che si ritrovano e che ridono a squarciagola; c’è posto per tutti senza eccezione. Amo pensare i chioschi come piccoli specchi della nostra società, mi piace immaginare le storie ed i destini dei clienti che sorridono, brindano, belli e rilassati. Ha un sapore ancora un po’ diverso dai bar tradizionali, forse proprio perché portano la vita in sé e di per sé.

Ci sono i chioschi la cui attività è basata esclusivamente sull’edicola, che sono i primi ad aprire, non più tardi delle 7 della mattina. Penso a tutte le persone che ancora sono affezionate al loro comprare quotidianamente il giornale – qua a Milano, il Corriere della Sera – che sarà forse la loro unica uscita fuori casa della giornata. Pensare al rapporto che hanno stabilito con chi gestisce il chiosco, i racconti, più o meno brevi, a seconda dell’umore odierno, del meteo, tutti sommati attraverso gli anni, come un prezioso libro che raccoglie un pezzo della storia del quartiere. Mi ricorda il mio nonno che d’estate in Toscana, andava al chiosco del paese più vicino, l’unico a distribuire la stampa internazionale per comprare una copia di Le Monde, così da rimanere aggiornato sulle notizie in Francia. Anche lì, il chiosco appare come un protagonista della vita sociale sia a livello collettivo che individuale.

Poi ci sono quelli che fanno attività di fruttivendolo. Lì la clientela fa praticamente il mercato senza mai dimenticarsi di chiacchierare con il proprietario. Il tempo sembra essersi fermato; talvolta si trovano ancora le vecchie bilance per pesare la frutta e la verdura, una bancarella piccola ma che garantisce qualità e freschezza dei prodotti. Subito penso al chiosco dal “Verzeratt” a due passi dalla sede storica della Statale di Milano, che, come lo indica il nome, è operativo dal 1919. E’ un angolino delizioso della città in cui uno si ferma volentieri per godersi l’aperitivo serale con le luminarie che brillano ed un’accoglienza sempre gentile. Ultimamente, lo trovo molto frequentato e mi fa piacere vedere che riscontra successo, che la gente ci va e che ci torna pur rischiando io stessa di non trovare un posto. Il pubblico è prevalentemente giovane – tra studenti e giovani lavoratori – ma è soprattutto quest’aria di relax senza eguali che fa proprio bene all’anima.

Una volta sono andata in tilt leggendo un cartello pubblicitario con l’indimenticabile slogan “Ora puoi mollare tutto e aprire un chiosco.” Da quel momento in poi, non mi sono mai più scordata quel pensiero che è rimasto fisso e che a poco a poco ha dato vita ad un sogno. Un sogno di quelli che sanno dell’infanzia, un po’ folle, molto ingenuo, ma infinitamente bello. L’avrò accennato a tutti i miei amici con gli occhi illuminati dall’eccitazione del progetto tutto immaginario per il momento… Chissà se avverrà un giorno? Ma chissà quanto sarebbe bello?

Quando si dice che la felicità è fatta di piccole cose, semplici, senza tempo, quasi accessibili a tutti, trovo che il chiosco ne sia la perfetta illustrazione. E com’è bello ricordarselo qualche volta e tornare all’essenzialità della vita…

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